Il fronte non compatto degli “Stan” dell’Asia Centrale
CSI BULLETTIN

a cura di Elisa Cecchini
Sin dal 2014, con l’annessione della Crimea da parte russa e l’inizio della guerra del Donbass, la posizione dei cinque paesi ex-sovietici dell’Asia Centrale, i cosiddetti “Stan”, è stata prudente e ben ponderata fino all’odierna aggressione russa dell’Ucraina. Per quanto le posizioni degli stati centro-asiatici siano sempre state generalmente allineate con la Russia, con l’elevato livello di interdipendenza economica e lo stretto rapporto politico-sociale che giocano da sempre un ruolo centrale nella regione, l’attacco russo in Ucraina ha mostrato come i cinque paesi abbiano assunto posizioni non compatte in favore del vicino, ma parzialmente diversificate. L’unico tratto, se vogliamo, comune è stata l’astensione (Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan) e la non partecipazione (Turkmenistan, Uzbekistan) al voto nella Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 marzo scorso, in cui si è condannata l’invasione russa e si è richiesto il ritiro delle truppe.
Nonostante fino a poco tempo fa si pensasse che il fronte del Commonwealth of Independent States (CIS) fosse più compatto che mai, dopo la missione del Collective Security Treaty Organization (CSTO) volta ad arginare le proteste scoppiate in Kazakistan a inizio gennaio, la situazione ad oggi sembra più complessa e frammentata. Tutti i paesi dell’area sono membri del CIS, tranne il Turkmenistan che è membro associato, conforme con il proprio status di paese neutrale riconosciuto ufficialmente dalle Nazioni Unite nel 1995; mentre tre paesi membri – Kazakhistan, Kirghizistan e Tagikistan – fanno parte anche del CSTO, l’alleanza militare.
Proprio il Kazakistan, l’alleato più stretto della Russia in Asia Centrale, membro del CSTO e della Eurasian Economic Union (EEU), pur senza criticare apertamente l’operato del vicino, ha preso le distanze da Mosca. Il Ministro degli Esteri kazako, Mukhtar Tleuberdi ha infatti dichiarato che il Kazakistan non riconoscerà le repubbliche separatiste di Luhans’k e Donec’k come stati indipendenti. Posizione sottolineata anche dal Presidente kazako, Kassym-Jomart Tokayev, in occasione del Congresso straordinario di governo, che ha ribadito, come in passato, la propria disponibilità a fare da mediatore tra le parti: nel 2016 il Kazakistan ospitò le trattative russo-turche-iraniane nel tentativo di ristabilire un canale di dialogo per la pacificazione della Siria, formato poi ribattezzato “Astana Processus”. Tuttavia, il Presidente kazako ha escluso l’invio di truppe a supporto della Russia in Ucraina: Il rifiuto di Nur-Sultan arriva a breve distanza dall’intervento militare del CSTO a sostegno del Kazakistan, richiesto dallo stesso Tokayev in persona. A questo quadro si aggiungono gli aiuti umanitari che il paese sta continuando a fornire alla popolazione in Ucraina.
Di posizione diametralmente opposta è il Kirghizistan, che appoggia pubblicamente l’operato del Cremlino. Il Presidente Kirghiso, Sadyr Japarov, ha giustificato apertamente l’azione russa sostenendo che “questa potrebbe essere stata una misura forzata per proteggere la popolazione civile nei territori del Donbas, dove vive un gran numero di cittadini russi”, sottolineando inoltre che la Russia aveva il diritto di riconoscere le due repubbliche separatiste in quanto “il riconoscimento di uno stato è un diritto sovrano di ogni paese”.
Il Turkmenistan come detto precedentemente è riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale come permanentemente neutrale, si è astenuto quindi dall’esprimere un qualsivoglia giudizio sulla questione ucraina, come da tradizione. Inoltre, recentemente l’attenzione del paese era rivolta alle elezioni del nuovo Presidente.
Il Tagikistan non ha rilasciato dichiarazioni sull’aggressione russa dell’Ucraina, tranne per un articolo dell’agenzia di stampa statale in cui si rilancia l’appello del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, nell’astensione della Russia dal suo impegno militare. Inizialmente solo la versione tagika dell’articolo era stata rimossa, attualmente invece l’articolo è stato ritirato.
Ad oggi l’Uzbekistan è l’unico paese dell’Asia Centrale ad aver condannato l’invasione in Ucraina: sostiene l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina, non riconoscendo di conseguenza l’indipendenza delle repubbliche di Donec’k e Luhans’k. Lo scorso 17 marzo, parlando all’assemblea plenaria del Senato, il Ministro degli Esteri, Abdulaziz Komilov, ha esortato le parti a raggiungere una soluzione pacifica attraverso i canali politici e diplomatici.
L’economia uzbeka come quella degli altri paesi dell’Asia Centrale dipende in larga misura da quella della Russia, in particolare dalle esportazioni verso la Federazione e dalle rimesse provenienti da questa. Tuttavia, l’Uzbekistan non è un membro né del blocco commerciale EEU, né del gruppo di difesa CSTO, motivo per cui nonostante la Russia rappresenti il principale partner economico del paese, con il quale condivide dimensioni strategiche e un’ampia cooperazione, Tashkent si permette formulazioni più trasparenti.
Come detto precedentemente, l’economia generale dell’Asia Centrale è strettamente collegata a quella della Russia. Uno dei fattori di maggior peso nell’economia di alcuni paesi di questa regione sono le rimesse: una parte importante del PIL del Tagikistan e del Kirghizistan, in misura minore dell’Uzbekistan, si fonda su queste. In Kirghizistan e Tagikistan, le rimesse nel 2020 contavano rispettivamente il 31% e il 27% del PIL, paragonabili o addirittura superiori alle esportazioni di beni e servizi. Ovviamente, le rimesse provengono da più paesi ma la Russia rimane la principale fonte, per le dimensioni della sua economia e dei legami storici. Solo tra gennaio e settembre 2021 la quota di rimesse provenienti dalla Russia che arrivavano in Kirghizistan rappresentava l’83% del totale e più del 50% in Tagikistan e Uzbekistan. Questa dipendenza ha implicazioni nella stabilità macroeconomica della regione: le rimesse possono stabilizzare le fluttuazioni della produzione nei paesi beneficiari in tempi normali e destabilizzarle in periodi di shock globali che colpiscono i paesi di invio; di conseguenza la stabilità finanziaria dell’Asia Centrale è strettamente legata alla Russia. L’abbassamento sensibile del valore del rublo rispetto al dollaro, a seguito delle sanzioni imposte a livello internazionale contro la Russia, ha avuto un forte impatto anche in Asia Centrale, in quanto le valute locali sono sensibili alla volatilità del rublo. Come riportato dalla Banca Mondiale, la diminuzione del valore del rublo sta causando la drastica svalutazione del valore delle rimesse da cui dipendono intere famiglie della regione: sulla base di una valutazione iniziale si prevede che i tassi di crescita delle rimesse previsti in questa regione per il 2022 saranno in media del 25% in meno. Non è un caso, infatti, che già nel 2014, a seguito delle sanzioni contro la Russia dopo l’annessione della Crimea, tutta la regione centro asiatica abbia sofferto di forti ricadute economiche, situazione che si sta ripetendo in queste ultime settimane a seguito delle sanzioni dopo l’aggressione russa all’Ucraina.
Bibliografia
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