Il concetto russo di guerra ibrida: Gerasimov e la disinformazione

13 marzo 2023
Di Emiliano Di Loreto
Quando il 24 Febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, lanciando la cosiddetta “operazione militare speciale”, in pochi, tra gli analisti occidentali, si aspettavano un’offensiva di tali dimensioni. Le forze armate russe, penetrate nel paese con l’impiego di lunghe colonne di veicoli corazzati, supportate dall’artiglieria pesante e dall’aviazione, hanno in breve tempo assediato la capitale Kiev mettendo l’Ucraina a ferro e fuoco e scatenando, di fatto, una guerra nel cuore dell’Europa ancora in corso e che non sembra poter finire nel breve periodo.
Secondo alcuni analisti occidentali la guerra in Ucraina rappresenta, per la Russia, un ritorno al passato in quanto a metodologie e tattiche impiegate. Negli ultimi anni, infatti, raramente il Cremlino ha portato avanti i propri interessi tramite delle operazioni di guerra convenzionale. Al contrario, la Federazione Russa si è spesso concentrata su tattiche e strategie indirette, o comunque limitate in quanto a esposizione, attraverso delle operazioni inquadrabili all’interno dell’ambito della guerra ibrida e tramite l’impiego non ufficiale di compagnie militari private, prima fra tutte il Gruppo Wagner. I contractor, sotto il comando di Evgenij Prigozin, oligarca russo molto vicino al presidente Putin, hanno svolto un ruolo fondamentale, tra l’altro, nell’annessione della penisola di Crimea nel 2014, preludio della guerra odierna.
L’interesse russo per la guerra ibrida, paradossalmente, nasce da un’osservazione della società occidentale. Gli analisti ed esperti russi cominciarono ad affacciarsi al tema nel 2009 in seguito alla pubblicazione degli articoli del teorico militare statunitense Frank G. Hoffmann, che nei primi anni 2000 propose il termine come una sorta di ponte concettuale tra la definizione di guerra convenzionale e guerra non convenzionale nel contesto dei conflitti post Guerra Fredda. Una delle caratteristiche più importanti della definizione data da Hoffmann è il suo approccio operativo. Nel mettere in pratica il concetto di guerra ibrida, Hoffmann e i suoi sostenitori affrontano l’argomento in termini puramente militari. Secondo la loro visione, il termine “hybrid warfare” si riferisce ad un complesso di tattiche utilizzabili esclusivamente dalle forze armate, addestrate nella giusta maniera e secondo la giusta dottrina, supportate dalla leadership politica.
Nonostante ciò, il radicale cambiamento nella visione russa della guerra cominciò all’incirca un decennio prima, intorno alla metà degli anni ’90. In seguito alla sconfitta subita alla fine della Guerra Fredda e alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, il concetto di “guerra tradizionale” come pilastro delle operazioni militari venne messo in dubbio da strateghi e scienziati politici russi, che enfatizzarono un aspetto caratterizzante la natura dei nuovi conflitti: l’indebolimento dell’avversario tramite un’erosione graduale della propria cultura, dei propri valori e della propria determinazione. Nel 2013, il generale russo Valery Gerasimov, attuale comandante in capo dell’operazione in Ucraina, descrisse la sua concezione di guerra moderna. In diretta continuità con la strategia della guerra ibrida, la “Dottrina Gerasimov” individuò il focus dei metodi di conflitto nel più ampio uso di misure politiche, economiche ed informative, oltre che di operazioni militari non ufficiali e di intelligence. In sintesi, la guerra ibrida russa si propone, in contrasto alla visione della guerra tradizionale, di sbarazzarsi dei decisori politici tramite l’impiego di tattiche non militari come primo obiettivo e, solo in seguito, di distruggere gli apparati e le forze di sicurezza avversarie. Vi è, quindi, una sostanziale differenza tra il modo di concepire la guerra ibrida da parte dei russi rispetto a come teorizzato da Hoffman. Mentre il concetto americano si focalizza principalmente su tattiche ed operazioni militari convenzionali e non, dirette e coordinate sul campo di battaglia dal personale in mimetica, quello russo si concentra su tutte le sfere della vita pubblica e quotidiana, dal contesto politico ed economico fino a quello culturale.
Per il Cremlino, inoltre, la strategia della “disinformazione” (disinformatziya in russo) è sempre stata una parte integrante della dottrina militare. Nel contesto delle relazioni internazionali, per disinformazione si intende la diffusione deliberata di informazioni false e manipolate da parte di stati, governi esteri o addirittura attori non statali di una certa rilevanza, con l’obbiettivo di confondere e/o trarre in inganno i propri avversari politici o militari. Molti analisti e osservatori internazionali fanno notare come ci sia una sostanziale differenza tra la propaganda del periodo sovietico e l’attuale disinformazione. Mentre la propaganda sovietica, infatti, era improntata all’indottrinamento della popolazione a alla demonizzazione del nemico esterno, la disinformazione odierna ha come scopo spesso quello di intaccare e manipolare le idee ed il punto di vista della popolazione avversaria. In questo caso, l’obbiettivo principale è quello di confondere e disorientare togliendo i punti di riferimento nazionali, più che di esportare le proprie ideologie come in epoca sovietica. In tempi recenti, inoltre, grazie a internet e ai social network, vettori ideali dove le informazioni viaggiano senza sosta e senza alcun controllo, la portata di un’efficace campagna di disinformazione risulta molto ampia.
Una delle operazioni di disinformazione di maggiore portata degli ultimi anni è senza dubbio il presunto coinvolgimento russo nelle elezioni americane del 2016, che si conclusero con la vittoria di Donald Trump. Secondo un rapporto congiunto di FBI e CIA, è altamente probabile che la Russia abbia usato una campagna pubblica per influenzare il voto americano. La strategia russa includeva l’uso di “troll bots” e “troll” sui social media, operazioni di hacking, documenti falsi e fuorvianti lasciati circolare online, collegamenti a fonti di informazioni quali Wikileaks e presunte fughe di informazioni su media statali quali “Russia Today”. Il rapporto avanzava la possibilità che il Cremlino avesse ordinato un’estensiva e multilaterale campagna di disinformazione al fine di minare la fiducia pubblica nel processo democratico americano, denigrando la segretaria di stato Hilary Clinton e danneggiando la sua immagine pubblica in vista delle elezioni. L’obiettivo finale dell’operazione quindi, conclude il rapporto, era quello di favorire l’elezione di Donald Trump e di spaccare l’opinione pubblica americana, quindi l’alleanza occidentale e l’ordine liberale.
Le campagne di disinformazione portate avanti da governi stranieri e da attori non statali, sono oggi considerate dalle democrazie occidentali come una delle maggiori minacce del ventunesimo secolo, soprattutto nell’ambito delle cosiddette “cyber interferenze” durante le campagne elettorali. Da un punto di vista legale, questo tipo di eversione mina le fondamenta del sistema giuridico occidentale. Se, infatti, elezioni libere e regolari rappresentano uno dei capisaldi della democrazia occidentale, interferire nelle stesse ed alterare i risultati del voto si configura quasi come un atto di guerra.
Bibliografia
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