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Guerra in Ucraina: la crisi alimentare e la risposta dell'UE

OSSERVATORIO UE

04 giugno 2022

Emanuele Volpini 

Lo scoppio della guerra in Ucraina ha sollevato numerosi problemi per l’Unione Europea: in primis nella difesa comune e la politica estera unitaria, ma anche per quanto riguarda il settore energetico e alimentare. I problemi che interessano quest’ultimo, in particolare, hanno avuto e stanno avendo ripercussioni non solo sulle nazioni del Vecchio Continente, ma anche sui mercati extraeuropei. Se a livello strategico si può parlare di limited war, dal momento che le operazioni militari si stanno svolgendo su un territorio limitato a due stati, l’impatto che il conflitto sta avendo sul settore alimentare non è indifferente. In più, se a livello regionale l’Unione europea ha saputo reagire in maniera repentina, lo stesso dovrebbero fare anche i due contendenti a livello internazionale per scongiurare tante micro-crisi regionali che potrebbero a loro volta destabilizzare intere macroregioni.

Ucraina – Russia: l’impatto agroalimentare sull’UE
L’invasione russa del 24 febbraio ha immediatamente bloccato uno dei settori più importanti dell’economia e del commercio ucraino: l’export di grano, mais e olio di girasole. Secondo quanto riportato da diverse analisi, la sola Ucraina contribuisce tra il 10% e il 12% del mercato globale di grano, al 15% del mercato di mais e a oltre al 50% del mercato di olio di girasole. Se questi dati vengono uniti a quelli relativi alla produzione e all’export russi, si osserva un incremento totale fino al 35% nel mercato del grano e addirittura a più del 70% per il mercato dell’olio di girasole.
Questi prodotti costituiscono in totale circa un terzo delle esportazioni mondiali di grano e un quinto di quelle di mais. Tuttavia, per comprendere il reale impatto della crisi, bisogna osservare dove queste materie vengono esportate. Secondo uno studio del Parlamento europeo, nel 2020 il 35,7% della produzione agroalimentare ucraina è stata importata dall’Unione europea. Questo dato rappresenta solo il 4,6% delle importazioni agroalimentari dell’Unione stessa; tuttavia, se analizzato più nello specifico, il 48,9% è composto dall’import di cereali, inclusi il grano e il riso, così come il 48,5% degli oli vegetali e il 25,1% della carne di pollo. Invece per quanto riguarda gli scambi con Mosca, l’Unione è interessata più per il settore dei mangimi – 18,9% del totale delle importazioni -, dello zucchero – pari al 7,8% – e dei semi oleosi – 6,7%. Il mercato europeo rappresenta dunque una buona fetta dell’export agroalimentare di Ucraina e Russia.

Il mercato extraeuropeo
Tuttavia, al di fuori del continente vi sono Paesi ed intere regioni che dipendono da questo tipo di approvvigionamenti. Nell’area MENA – Middle East and North Africa – oltre il 50% dell’import agroalimentare proviene da Kiev e da Mosca. In molti casi, si tratta di Paesi dove già prima della crisi scoppiata il 24 febbraio scorso l’insicurezza alimentare rappresentava uno dei principali problemi. Tra i Paesi che beneficiano dell’import russo-ucraino vi sono infatti nazioni che hanno attraversato o stanno attraversando conflitti interni, come Yemen o Sudan, e nazioni che hanno un’elevata popolazione, come Pakistan o Bangladesh. A spaventare la comunità internazionale è il fatto che, in maniera più o meno analoga, proprio dieci anni fa erano cominciate così le cosiddette Primavere arabe: figlie di una serie di fattori politici, economici ma anche sociali, legati in parte anche a una grave crisi alimentare che aveva destabilizzato molti Paesi dell’area. Per questo motivo, Paesi come Francia e Romania stanno studiando la fattibilità di ampliare i propri mercati anche a zone precedentemente monopolizzate da Russia e Ucraina, tra cui Libano, Egitto e Iran.

Le contromisure dell’UE
Bruxelles ha agito tempestivamente per cercare di ridurre l’impatto della crisi sia a livello regionale che a livello internazionale. Per ciò che riguarda la produzione europea e le misure adottate per sostenere i produttori, va sottolineata l’iniziativa promossa e sostenuta dalla PAC (Politica Agricola Comune). Tramite una decisione straordinaria, la PAC ha deciso di redistribuire 500 milioni di euro, provenienti dai propri fondi, ai contadini europei. I Paesi che beneficiano maggiormente di questa misura sono anche tra i principali produttori agroalimentari dell’Unione europea. Al primo posto la Francia, con 89 milioni di euro, principale produttrice europea di grano e mais insieme alla Romania – che riceverà invece 25 milioni; seguono poi Spagna con 64 milioni, Germania con 60 milioni, Italia con 48 milioni e Polonia con 44 milioni. Inoltre, in Italia, è stato dato il via libera alla coltivazione di ulteriori 200 mila ettari di terreno per la produzione aggiuntiva di oltre 15 milioni di quintali di mais e grano duro con il duplice obiettivo di ridurre la dipendenza da mercati esteri provvedendo anche ai bisogni legati all’allevamento di bestiame.
A livello internazionale l’Unione europea ha già intrapreso un doppio percorso di assistenza e sviluppo. Il primo, per il periodo 2021-2024, comporta lo stanziamento di minimo 2,5 miliardi di euro, dei quali 1,4 miliardi per lo sviluppo e 1,1 miliardo per l’aiuto umanitario. L’obiettivo è, oltre a sviluppare la cooperazione internazionale, quello di investire in settori chiave come l’assistenza alimentare, l’accesso ad acqua potabile nei Paesi dove ciò non è ancora largamente possibile, l’educazione, un sistema sanitario efficace e la lotta alle disparità sociali. Tutti questi obiettivi possono e devono essere raggiunti tramite lo sviluppo di un settore agroalimentare forte e il più autonomo possibile. Nel periodo che va dal 2021 al 2027 l’Unione europea è e sarà quindi impegnata nel sostenere proprio lo sviluppo del settore alimentare in 70 diversi Paesi.

Le reazioni internazionali e le opportunità per l’UE
La crisi del settore agroalimentare ha suscitato diverse reazioni. L’UE ha avviato programmi per lo sviluppo e il sostegno alimentare anche a Paesi terzi che non fanno parte dell’Unione. Tuttavia, lo shock provocato dall’invasione russa ha portato alcune nazioni ad attuare diverse politiche. Il Brasile ha rafforzato il suo asse con Mosca, dal momento che quest’ultima rappresenta un partner vitale per l’economia brasiliana, grazie all’export di fertilizzanti e prodotti chiave per la produzione di soia, grano e mais. L’Indonesia, al contrario, ha scelto la via del protezionismo, proprio come Serbia e Ungheria. Jakarta è il primo produttore mondiale di olio di palma e, dal 28 aprile, bloccherà l’export per far fronte alla domanda interna. Lo stesso hanno deciso di fare Belgrado e Budapest. La Serbia, infatti, ha deciso di limitare l’export di grano, mais, farina e olio per cucina, riscontrando però l’opposizione della Camera di Commercio che teme la perdita dei mercati tradizionali. L’Ungheria, già pochi giorni dopo l’invasione russa, aveva deciso di bloccare l’export di tutto il grano a causa dell’aumento dei prezzi. Queste decisioni lasciano una grande opportunità all’UE di imporsi su mercati che precedentemente erano monopolizzati o dominati dalla presenza di Paesi concorrenti e quindi di instaurare una nuova serie di rapporti anche in zone del mondo che prima erano prerogativa di altri attori.